martedì
quarta settimana di quaresima
Nella vita di tutti c’è il momento in cui ciascuno giunge a chiedersi con molta onestà, con positivo spirito critico, se in quello che ha detto o in ciò che ha fatto, se nelle scelte o nelle rinunce compiute, davvero è stato tutto giusto, se tutto doveva andare veramente così, solo così. Oppure?
Il dubbio che si poteva essere diversi da come si è stati è il compagno di viaggio di tutte le persone che quotidianamente cercano di migliorare se stesse, di non lasciare andare le cose alla deriva e, così, perdere l’occasione per crescere, per elevarsi, ripartendo dalle proprie difficoltà e, molto spesso, dai propri errori.
L’idea che un giorno ci si possa svegliare dovendo dire a se stessi, nel segreto della propria coscienza: sì, mi sono sbagliato, non è poi un’idea così remota. Capita quasi ogni giorno, capita quasi su tutto, di doversi ricredere in qualche cosa, in un’idea, in un pregiudizio, in scelte prese e poi rinunciate, e ammettere di non avere avuto sufficiente lungimiranza sul sentiero del proprio cammino.
La domanda vera, quella cui è importante dare una risposta nel segreto della propria coscienza, è se il tutto della nostra vita ha davvero un fondamento che lo sorregge, che lo rende forte, che lo rende solido e duraturo anche nei momenti più sussultori e fragili della propria storia personale. Una domanda dentro, questa, che ci chiede sfacciatamente dove posano i nostri piedi, dove poggiavano ieri, dove sono sicuri oggi, dove pensiamo di metterli domani? È una domanda di collocazione, di noi stessi e dei nostri piedi, per non smarrire mai quel punto preciso di osservazione e per capire la direzione di provenienza e quella del futuro viaggio della nostra vita.
Se da una parte serve lasciarsi prendere anche per un solo istante dal rimorso, dallo sconforto per l’ennesimo fallimento, c’è in tutti noi un’eco di sopravvivenza che non smettere di ripetere che anche nell’errore più insulso è possibile trovare stimolo, forza e coraggio per riprendere il proprio cammino di vita in modo del tutto diverso da come ce lo ritroviamo ricordato nella mappa del nostro viaggio personale.
Alla fine, le cose più belle che rimangono dentro di noi non sono cose ma persone, le situazioni, i sentimenti e le emozioni che ci fanno sentire sempre più concreti e più aderenti a pelle alla bellezza e all’unicità della nostra vita. Non da ultimo, una vera, concreta esperienza di fede, l’umile e trasformante scoperta della presenza di Dio in noi, ci dicono che abbiamo armi a sufficienza per superare i momenti più confusi e bui della parabola della nostra vita e fidarci di Colui che ci attende con amore al termine del nostro viaggio.
Liturgia della Parola:
Ez 47,1-9.12
Sal 45
Gv 5,1-3a.5-16
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