Quando Dio si è rivelato a noi nella persona e nelle opere di Gesù di Nazareth una cosa ha fatto in modo meraviglioso: senza pregiudizio alcuno si è messo in ascolto dell’umanità intera, della sua voce, delle sue storie, dei suoi bisogni più intimi e più veri.
Ascoltare l’uomo e le donne di tutti i tempi è da sempre la caratteristica del Dio di Gesù, il Cristo; tanto che lo stesso Maestro di Nazareth non ha mai perso occasione per rendere visibile, concreta e manifesta a tutti la disponibilità sua a lasciarsi trovare e interpellare dal vissuto di ciascuno.
Anche per Gesù la legge di un ascolto autentico è rimasta invariata: se non è tangibile, se non è riscontrabile nelle pieghe più nascoste della vita, il porgere all’altro il proprio orecchio è solo una finzione, una recita, non certo il risultato di un incontro interpersonale capace di trasformare l’impossibile in qualcosa di bello e di buono.
Così, sia mediante il Figlio suo sia mediante lo Spirito Santo, mentre egli continua ancora oggi a tendere l’orecchio, seduto alla porta della bocca di ciascuno dei suoi figli, Dio insegna a tutti l’arte dell’ascolto, perché nulla di quanto fa parte della storia di una persona vada perduto nella più superficiale distrazione.
Ascoltare le persone, in quello che sono, per quello che sono diventate, precede, così, qualsiasi voglia di parlare alle persone e la Chiesa, abbracciando la sua vocazione ad essere madre, testimone e maestra in umanità, si pone sulla stessa strada percorsa da Dio. Annunciare il Vangelo, proporre alle persone un cammino di risveglio spirituale e di salvezza integrale, è possibile allora solo dopo avere ascoltato con tutto se stessi il cuore, la mente e la vita di chi si pone sulla strada della fede.
Misurando la propria passione per la persona amata sul valore del rispetto e della delicatezza, l’autore del libro del Cantico dei Cantici non fa altro che rendere poesia la prosa del suo amore: «Colomba mia, nascosta nelle fessure delle rocce, in nascondigli segreti, fammi vedere il tuo viso, fammi ascoltare la tua voce; perché la tua voce è soave, il tuo viso è grazioso» (Ct 2,14). L’epifania del volto è principio di fiducia, là dove una persona all’altra dona quel qualcosa di esclusivo e di unico del suo esistere, preludio alla narrazione poi del vissuto della propria interiorità, storia, questa, tutta da narrare e da donare all’interno di una relazione di creativa intimità.
Se da una parte non è mai facile ascoltare, in certi momenti e con certe persone, soprattutto quando abbiamo l’ardire di credere che gli altri li teniamo saldamente in pugno e possiamo comportarci con loro come meglio ci fa comodo, al contrario corriamo il pericolo di risultare arroganti: fingiamo di essere sordi, facciamo di tutto per fuggire di fronte a una domanda di ascolto, ci estraniamo dalla scenda della loro storia e, quasi magicamente, creiamo per nostra autodifesa un alone di invisibilità. Ma ancora più sciocco è quando mettiamo mano a strumenti impersonali, quali sms, chat, email, trincerandoci dietro uno schermo di vetro, facendo la scelta di fare a meno di volti, di sguardi, di timbri diversi di voce e, soprattutto, di abbracci. Sì, perché l’ascolto è vero quando impegna il cuore e, con il cuore, la forza rispettosa di un abbraccio umano.