Più che celebrare Dio in un luogo e in un istante dello spazio e del tempo, Dio lo si celebra dentro il proprio esistere, fatto, certo, di spazi e di tempi, quelli però della propria vita. Più che in luoghi e in tempi diventati anche ai propri sensi sconosciuti e imprecisi, la stragrande maggioranza delle persone si mette alla ricerca di Dio dentro idee ed esperienze, emozioni e sensazioni decisamente del tutto personali. Un mondo questo in cui ciascuno cerca di restare ancora un po’ padrone del suo vissuto, nonostante che ci senta sempre più soggiogato al pensiero e alla volontà delle mille persone attorno.
Celebrare Dio lo si fa con motivazioni diverse le une dalle altre; partendo da quelle più eccelse, con sensi di riconoscenza infinta per quel qualcosa di bello che come non mai ha illuminato e colorato la vita; oppure, scendendo via via sempre più in basso, fino a raggiugere quella zona oscura della propria vita interiore, dove è facile entrare in contatto con la voglia di rivalsa per qualcosa di male e di negativo che si imputa essere comparso in noi per colpa di Dio stesso. Pur essendo quest’ultima motivazione un po’ arrogante, tuttavia anche la sofferenza più manifesta, o il dolore più nascosto, o la drammaticità sconvolgente della morte esigono entrambe di essere celebrate di fronte a Dio, o per affermare la sua negativa paternità, oppure per rimettere tutto se stessi nelle mani del Padre dei cieli.
Anche la paura di tutto ciò che non si conosce bene ci porta a volgere occhi e cuore a Dio, supplicandolo che si faccia a noi vicino, stendendo le sue mani su di noi e donandoci la sua benedizione. Un po’ sull’esempio di Mosè, il quale sul monte Sinai si presenta coraggiosamente dinanzi a Dio per conoscere il mistero della sua presenza divina. E senza sottrarsi alla curiosità di un piccolo uomo, Dio stesso di se stesso dice: «Io sono colui che è», cioè affermando di essere una realtà esistente, viva, proprio di fronte alla piccola e fragile esistenza umana di Mosè. Prendendone atto, da quel momento in poi il futuro condottiero d’Israele fu ogni istante certo della presenza di Dio lungo il suo cammino, al tempo stesso convinto della necessità da parte sua di lodare Dio ad ogni passo del suo santo viaggio di liberazione.
Nel proprio esistere le persone hanno il punto e il momento esatto del loro singolarissimo contatto con Dio, quando i frammenti della loro esistenza bramano di trovare una luce di comprensione, una forza di riunificazione, un’energia di santificazione. La vita necessita di Dio, dal primo istante del suo esistere, fino all’ultimo attimo camminato dentro la luce di questo mondo, in attesa di varcare la soglia dell’oltre vita, dell’oltre morte, e ritrovarsi appunto in lui, in Dio.
Così come fu un tempo, ancora oggi come comunità di persone, come multiforme umanità, abbiamo l’innato desiderio di elevare alle altezze dell’Infinito la mente, il cuore e le dimensioni più belle, più profonde e più vere del nostro esistere di uomini e di donne, appartenenti a tutti i tempi e ad ogni luogo della terra. Gesù ne fu un esempio, anzi, una via eternamente attuale per ricondurre le singole persone e l’umanità tutta intera alla tavola del Padre Dio, Signore del cielo e della terra.
Ne era estremamente convinto l’apostolo Paolo quando, scrivendo alla Comunità dei primi cristiani di Efeso, esultando nello Spirito santo, testimonia loro il suo modo di lodare, di ringraziare, di celebrare l’opera divina della salvezza. Egli scrive: «Per questo motivo, dunque, io mi inginocchio davanti a Dio Padre, a lui che è il Padre di tutte le famiglie del cielo e della terra. A lui chiedo di usare verso di voi la sua gloriosa e immensa potenza, e di farvi diventare spiritualmente forti con la forza del suo Spirito; di far abitare Cristo nei vostri cuori, per mezzo della fede. A lui chiedo che siate saldamente radicati e stabilmente fondati nell’amore. Così voi, insieme con tutto il popolo di Dio, potrete conoscere l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo, che è più grande di ogni conoscenza, e sarete pieni di tutta la ricchezza di Dio» (Ef 3,14-19).
Celebrare tutto questo diventa preghiera comunitaria e personale, ricordo costante e duraturo di quanto Dio ha fatto, fa e farà per i suoi amici. Amando ogni uomo ed ogni donna, celebrare Dio è avere al tempo stesso coscienza della misura dell’amore per tutti del Figlio di Nazareth. Nell’amore delle persone c’è anche l’amore delle cose che rendono tristi o felici le persone, amore della loro gioia, amore del loro tormento e dolore. E nel bene e nel male della vita celebrare Dio è apertura alla salvezza che per tutti sorge dall’alto, perché ogni vita trovi in Dio il suo sentiero di pace.
Essere, infine, la verità di se stessi è la migliore forma di lode e di celebrazione di Dio nella semplicità della propria storia personale, nell’unica esperienza di vita terrena che ci è dato di abbracciare, fino al giorno in cui saremo tutti una cosa sola nell’immensità dell’amore.