don sergio carettoniblog curato personalmente dall'autore
Celebrare è vita e gioia nel Signore Gesù

Celebrare è vita e gioia nel Signore Gesù

Al quarto posto, la quarta chiave per la quarta porta di accesso alla vita della Chiesa, troviamo il verbo celebrare. Lungi dal celebrare se stessi e i momenti unici della propria storia personale, usare il verbo celebrare all’interno di una data esperienza spirituale, qual è quella che si è soliti fare all’interno della vita della Chiesa del Risorto, vuol dire anzitutto riconosce la propria capacità di rendere sacra nella propria storia personale i momenti unici della storia degli altri.

Che si tratti di Dio e dei suoi eventi di salvezza, il quale si lascia coinvolgere fino a diventare un tutt’uno con l’esistenza e l’esperienza storica dell’umanità intera; che si tratti delle persone nella loro realtà esistenziale sia a livello di singoli uomini e donne sia nella loro esperienza relazionale di fare gruppo, coinvolte tutte a livello parentale ed amicale; sia che si tratti, infine, della comunità, luogo e spazio di fede, in cui l’umanità vive e si eleva al cielo grazie alla sua esperienza condivisa nella fede e nell’amore di Dio, ciò che si desidera celebrare è la dimensione sacra di tutto ciò che esiste ed orienta, come credenti, alla gloria e alla lode di Dio.

Al di là di ciò che il mondo fa e dice per onorare, esaltare, festeggiare solennemente una persona, una ricorrenza, un anniversario, una festa civile, lungo il cammino della fede quanto è stato ascoltato, conosciuto, seguito e vissuto nell’intimità del proprio cuore di credenti riemergere poi dal profondo di se stessi e si eleva a Dio.

E più che il solo esaltare le doti e le imprese di un condottiero, nella fede personale e comunitaria celebrare diventa un attuare, un compiere, un dispiegare dentro e attorno a se stessi tutto ciò che trasforma il male in bene, il peccato in occasione di salvezza, il negativo in positivo, il vacuo pagano in pienezza di sacro.

Se umanamente viene spontaneo dire che si celebra di tutto nella propria vita, dalle cose più semplici a quelle più serie, tuttavia, sull’esempio dei primi discepoli di Gesù, ancora oggi per un cristiano il vero celebrare è questione di fede e di vita nello Spirito del Signore risorto.

Morto e risorto per la salvezza nostra e del mondo intero, Gesù è la via da percorrere affinché ciascuno, nel tempo e nello spazio del proprio esistere, possa superare i suoi limiti e giungere gradualmente all’incontro e alla comunione con il Padre dei Cieli.

In ogni istante della giornata, entrando nello spazio della propria preghiera personale, o in quella ancora più forte fatta insieme nella Comunità cristiana di appartenenza, i discepoli di Gesù possono celebrare Dio, i fratelli e le sorelle e la Comunità intera, come segni di cielo sopra le orme del loro cammino. E, proprio perché segno della presenza di Dio nel mondo, ogni celebrazione liturgica diventa lo spazio e il tempo di un incontro di fede, unico e speciale, tra l’umanità e il suo Creatore.

Illuminato dalla sapienza e dalla luce dell’Altissimo, il profeta Israele annuncia, rivela e invita i suoi ascoltatori a non venire meno nella fede, a non smarrirsi nel loro cuore, ma a confidare nella vicinanza dell’amore di Dio. Con forza profetica egli afferma: «Voi innalzerete il vostro canto come nella notte in cui si celebra una festa; avrete la gioia nel cuore come chi parte al suono del flauto, per recarsi al monte del Signore, alla roccia d’Israele» (Is 30,29).

A distanza di secoli le parole di Isaia acquistano ancora oggi un valore ed una pienezza tutta particolare nella persona di Gesù di Nazareth. La Chiesa ci insegna che ogni celebrazione, ogni liturgia è «”azione di Cristo tutto intero”. Coloro che qui la celebrano, al di là dei segni, sono già nella liturgia celeste, dove la celebrazione è totalmente comunione e festa» (CCC 1136). Ecco perché, alla fine di tutto celebrare è vita e gioia nel Signore Gesù.

don sergio carettoni