don sergio carettoniblog curato personalmente dall'autore

Donare la fede per amore

commento spirituale a
Gv 15,9-17

Gesù disse:
9 «Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi: rimanete nel mio amore! 10 Se metterete in pratica i miei comandamenti, sarete radicati nel mio amore; allo stesso modo io ho messo in pratica i comandamenti del Padre mio e sono radicato nel suo amore. 11 Vi ho detto questo, perché la mia gioia sia anche vostra, e la vostra gioia sia perfetta.

12 Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici se fate quel che io vi comando. 15 Io non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere tutto quel che ho udito dal Padre mio.
16 Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo. Allora il Padre vi darà tutto quel che chiederete nel nome mio. 17 Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri».

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Il Vangelo annunciato in questa sesta domenica di Pasqua è la continuazione del discorso rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena: io sono la vite, voi i tralci; rimanete in me per portare molto frutto.

Meditando il significato profondo di queste parole, domenica scorsa le nostre assemblee liturgiche sono state invitate a fissare la loro attenzione sul rapporto tra il Signore Risorto e la comunità dei suoi discepoli. Abbiamo compreso, infatti, come sia indispensabile che nel cammino di fede delle nostre comunità ciascuno, secondo la maturità del proprio cuore, risponda alla chiamata a lui rivolta da Gesù per fare della sua vita il luogo accogliente della Parola di Dio, lasciandosi da questa trasformare interiormente, accettando di legare la propria vita al Signore, come la vita del tralcio fecondo di grappoli d’uva alla pianta della vite, diventare discepoli del Risorto, testimoni della Vita oltre la Morte.

Affinché tutto questo sia possibile, occorre però proseguire l’ascolto della seconda parte del discorso di Gesù, riflettere su di esso per confrontarci insieme a livello di comunità cristiana.

Quanto l’evangelista Giovanni ricorda, cioè che Gesù disse ai suoi discepoli “Rimanere nel mio amore”, offre al nostro sguardo di fede il panorama sconfinato dell’amore: Gesù ama i suoi, come il Padre ha amato lui, come noi dobbiamo amarci scambievolmente. Si tratta di un movimento trinitario, di una circolazione della carità: dal Padre al Figlio e, per opera dello Spirito, da noi al Padre, attraverso la passione-morte-risurrezione del Figlio suo Gesù. Frutto di questa pura donazione d’amore è il fatto storico che la vita della Trinità si apre alla storia dell’umanità, affinché quest’ultima sia fecondata da Dio e produca a sua volta i frutti dell’amore.

Mentre Cristo si presenta quale esempio autentico dell’osservanza dei comandamenti di Dio ‑ poiché egli si presenta in mezzo a noi come “una cosa sola con il Padre”, accogliente, amante e realizzatore della piena volontà di Dio ‑, da lui siamo chiamati ad osservare i suoi comandamenti, che si riassumono tutti nella legge dell’amore fraterno, culmine di tutte le norme di vita comunitaria. Non solo, ma osservare questa legge dell’amore ci permette di rimanere nell’amore di Cristo. L’amore al fratello, così come egli è e riusciamo ad accoglierlo nella nostra vita, diventa la condizione perché possiamo avere ospitalità nel cuore di Cristo. In esso troviamo dimora certo, ma troviamo anche la fonte perfetta e piena della nostra gioia interiore.

Un secondo punto di confronto comunitario poi, è la misura dell’amore fraterno. Senza compromessi con le nostre modalità di rapporto con gli altri, Gesù comanda di amarci tra noi “come io vi ho amati”. Dicendoci questo, non poteva certo offrirci un esempio più difficile da imitare. Amare come lui ha fatto con noi significa porre la nostra vita nell’ottica del dono, dell’offerta piena, totale, incondizionata di sé. Come fare? Come è possibile? Il dono della vita all’altro comporta l’esperienza della perdita di sé, e chi è disposto oggi a perdere se stesso o anche qualcosa della sua personalità per l’altro? Eppure, solo chi ama, solo chi costruisce la sua vita secondo la legge dell’amore è disposto a offrire tutto se stesso per gli altri, all’interno di una relazione d’amore, in famiglia, con i figli, con i genitori, con i parenti, con i colleghi di lavoro, con gli amici, con… tutti. Questo è difficile, ma diventa facile se si è disposti a vivere una relazione nuova con gli altri. Anche in questo Gesù ci offre l’esempio, chiamando i suoi discepoli amici e non più servi. Per lui si tratta di rivoluzionare l’impostazione della vita religiosa di ogni credente, chiedendo ai suoi di porsi stabilmente alla scuola dei valori del Vangelo. Occorre accettare una relazione nuova, che permetta la conoscenza del pensiero di Dio; una nuova forma di incontro con il divino e l’umano, non più secondo i criteri della religione-schiavitù, bensì nella dimensione della conoscenza dell’intimità del cuore di Dio e del fratello. Tuttavia, questa rivoluzione rischia di restare un bel sogno fin tanto che tratterò mio fratello come il servo del mio egocentrismo; sarà impensabile progettare la mia vita come risposta concreta ai bisogni degli altri e non sarò mai disposto a offrire la mia vita neppure per uno di loro. Conoscere per amare, amare per abbattere ogni barriera di discriminazione, per scoprire nello sguardo di chi mi sta di fronte gli occhi di mio fratello: questa è la rivoluzione proposta dall’esempio di vita e di amore di Gesù. In questo sta il comandamento dell’amore scambievole, come in questa conoscenza progressiva del cuore di Dio si comprende il motivo della nostra chiamata ad andare nel mondo e portare frutto, affinché il nostro frutto rimanga. Ma chiediamoci con onestà di cuore cosa vuol dire andare e portare frutto affinché il nostro frutto rimanga? Dove andiamo, cosa portiamo, cosa resta del nostro impegno di credenti, della nostra fatica di vivere ogni giorno gli insegnamenti appresi alla scuola del Vangelo?

L’amore ai fratelli ‑ ci spiega il Signore Gesù ‑ è la misura della nostra fede, del nostro restare con lui, del nostro abitare il suo cuore. L’amore dei fratelli è la misura anche del risultato da noi stessi conseguito al termine della vita, cioè quando ci sarà misurato quanto è rimasto di noi negli altri, che cosa gli altri sono stati disposti a continuare a fare dopo di noi, per realizzare ancora una volta quello che noi abbiamo testimoniato loro. I frutti della nostra vita di fede dobbiamo cercarli, più che in noi stessi, nei segni e nelle scelte compiute da chi ci è vissuto accanto. Oserei dire, il frutto della nostra vita di fede è la vita di fede degli altri, poiché una fede non donata resta in eterno una fede sterile.

don sergio carettoni