Pensare se stessi al singolare, non più solo al plurale, non è poi tanto facile; è utile e necessario prima di fare alcune scelte importanti per la vita, è invece qualcosa di molto doloroso che alla fine annotiamo sul calendario dei giorni più grigi. Eppure in certi momenti accade di sentirsi davvero soli, pur nel bel mezzo di una folla attorno, o anche quando ci sentiamo aggrovigliati in un più caldo e avvolgente gruppo di amici. A nulla serve condividere gli stessi interessi, le stesse esperienze, suonare insieme la medesima melodia del cuore se poi si resta così, spaccati in due, in compagnie avvolgenti fuori, in spazzi desolati e vuoti dentro.
In esilio da ogni relazione di cuore, pensarsi al singolare ha il sapore di una verità agrodolce, a tratti forse anche amara, soprattutto quando intuiamo che la solitudine è sempre la conseguenza di un qualcosa che abbiamo voluto, vissuto o subito poco prima, e a cui continuiamo fare ritorno con il pensiero indelebile su noi stessi e sugli altri: un film visto mille volte, un film che ci piace rivedere ancora una volta, avvolti dentro il pile della nostra storia personale.
La solitudine, quella vera e cruda, non è questione di un di fuori ma di un di dentro, all’interno degli spazi vitali del proprio mondo interiore, là dove siamo noi, e noi solo, a decidere chi fare entrare, chi buttare fuori dal nostro cuore, di chi fidarci, da chi difenderci, di chi accettare la compagnia e l’affetto. E benché scopriamo che la nostra vita si è via via trasformata, nostro malgrado, in un’arca di Noè, dove entrano ed escono situazioni di ogni specie, uno zoo di emozioni e di sentimenti, restano sempre a noi la scelta e la decisione se affrontare la navigazione in un mare da diluvio universale.
Se ingenuamente, superficialmente, abbiamo vissuto troppo spesso con la porta aperta al possibile, al gusto per l’imprevisto, nella smaniosa illusione che l’ultima novità, l’esperienza dell’ultima ora ci avrebbero potuto emozionare ancora di più, adesso, a porte chiuse, sentiamo che ci sono tanti modi per ritrovarsi soli nella vita, per scelta, per vocazione, perché ci è capita addosso questa sfortuna, oppure soli perché siamo stati abbandonati.
Una voce dentro, invece, un’eco di parole buone, ci dice con altrettanta chiarezza che le catene della solitudine le abbiamo solo nel cuore e unicamente a noi è dato di liberarcene per davvero. Impugnando la lucerna della fede, l’invito è quello di trovare la forza di affrontare le nostre solitudini, i nostri vuoti interiori, ed elevare al Cielo la preghiera più sincera che possiamo fare: chiedere che sia Lui ad aiutarci ad allontanare dal nostro cuore le ombre del non senso e del nostro narcisistico egoismo, affinché ritorniamo ad essere degni della nostra chiamata alla gioia, degni del Suo amore.
La morte non avrà mai l’ultima parola sul nostro cuore, così come dentro e fuori la nostra vita di credenti perché, dopo avere accolto Dio nella nostra storia personale, siamo giunti a riconoscere di avere un bisogno dell’anima di testimoni della risurrezione del Signore, compagni di vita che ci aiutino a non perderci dentro l’abisso dei nostri errori, dei nostri vuoti, dei nostri dubbi, e così dimenticarci che il naufragio più desolante è quello che avviene purtroppo nel mare della nostra solitudine interiore.