don sergio carettoniblog curato personalmente dall'autore
Non turisti, ma cittadini nel mondo di Dio

Non turisti, ma cittadini nel mondo di Dio

A meno che si abbia a che fare con un gruppo di turisti, i quali visitano una chiesa come se avessero a che fare solo con un edificio di culto, per loro dello stesso valore di museo del sacro, nella vita della Chiesa invece si entra per vocazione, cioè per chiamata, quella del battesimo, allineando la propria vita a quella di tante altre persone, affinché tutti siano impegnati a coronare la propria storia personale con il raggiungimento della santità.

Partendo da una autentica scelta di fede, la vita di una persona è fatta per andare lontano, raggiungere mete e traguardi mai pensati, non certo per chiudersi in se stessa, ripiegarsi nel piccolo del proprio io, anche se si trattasse di un io credente, e, così, morire. Il valore di una fede condivisa diventa la bellezza impareggiabile di tutta la Cristianità. E da parte sua il Signore non resta indifferente al cammino dell’umanità, perché fin da subito ci mette dentro le sue mani e con arte opera nella vita dei suoi amici, tessendo il filo rosso della sua gioia dentro e attorno alle tante situazioni della vita di una persona, entrando nella storia e nella concretezza di tutti i suoi giorni, nella parabola esistenziale di ciascuno.

Chi ha incontrato Gesù, il Risorto, nella sua vita sa benissimo che non basta avere una vita piena di mille cose, una vita bella con buoni risultati professionali, un infinito numero di amici; non basta neppure frequentare la propria parrocchia o assolvere con generosità ai propri impegni di servizio e di attenzione verso gli ultimi, per avere la pace nel cuore e la gioia negli occhi. Proprio quando nella vita apparentemente non manca nulla e sembra esserci tutto, nella verità del proprio cuore si ode la voce di un desiderio profondo, non ben definito, che continua a interpellare la singola persona. Nel senso esistenziale della manchevolezza, della incompiutezza e della insoddisfazione profonda della propria persona si inserisce la voce di Dio, che tutti chiama a qualcosa di sempre nuovo, di radicalmente diverso, a qualcosa che sta oltre i confini della propria storia personale, a dimensione di infinito di pensiero, di cuore e di azione.

Ecco allora il valore di allineare i propri passi personali sia a quelli del Signore Gesù, che come pastore cammina innanzi a tutti, sia a quelli dei fratelli e delle sorelle nella fede, per sperimentare nel tempo e lungo i processi di maturazione personale la bellezza di una fede capace di trasformare in qualcosa di bene e di positivo anche il vissuto negativo dell’ultimo tra i peccatori della storia.

Nell’atto, allora, di presentare lo stile e la vita di una comunità cristiana si può fare riferimento e scegliere tra diversi tipi di immagini. Da quella di una comitiva di amici impegnati a viaggiare insieme a Dio dentro la storia, a quella di una cordata quale è la storia dell’umanità intera; da quella di una casa comune, a quella di un villaggio in cui abitare e tessere relazioni di fraternità. Una metafora possibile è anche quella di immaginare la Chiesa come a un succedersi di stanze e di spazi di vita tutti da abitare, di porte rispettivamente da aprire e da attraversare, di immancabili chiavi da usare al momento giusto.

Una parrocchia ideale, non per questo impossibile da realizzare nella concretezza, potrebbe essere benissimo quella in cui non vengono mai a mancare minimo cinque stanze, cinque porte e cinque chiavi. Il numero cinque diventa una metafora che più di qualunque altra presenta e spiega ai nuovi arrivati la forza creativa e propulsiva della vita di una comunità di fede, la persona di Gesù, e un mondo ancora oggi da vivere al plurale, con fede e in modo coraggioso.

Ma attenzione, complichiamo un po’ le cose. Che cosa ci permettono di aprire queste cinque chiavi? A cosa ci introducono queste cinque porte? Oltre ogni singola porta esiste realmente uno spazio esistenziale dentro il quale la vita di una persona può dire di avere trovato la sua felicità? Uscire da questo mondo a scatola chiusa è il risultato di una fatica d’illusione, di fuga, di rifugio infantile e deresponsabilizzante in un luogo di fantasia, quale potrebbe essere considerata la fede in Dio, oppure nell’oltre dei nostri piedi c’è l’esperienza di una familiarità con Dio tutta da costruire nel tempo con fiducia, con pazienza e con amore? Alla luce delle scelte della propria vita, colorate ogni istante dalla bellezza della fede, è facile rispondere: porte e chiavi ci pongono di fronte al mondo di un Dio scoperto, incontrato, conosciuto, sperimentato, amato, grazie alla vita della propria comunità parrocchiale, grazie all’amore e alla testimonianza operosa della Chiesa tutta intera.


Vissuti in modo attivo e non passivo, declinati sia al singolare sia al plurale, utilizzati nella forma dell’infinto per sottolineare l’infinto delle misure (quanti?, chi?, come?, dove?, cosa?), i cinque verbi – ascoltare, conoscere, seguire, celebrare e servire – diventano al tempo stesso stanza, porta e chiave e ci prendono per mano e ci conducono lungo la strada della ricerca della verità del nostro cuore e del nostro modo di concepire il mondo in cui viviamo e il mondo a cui sentiamo di essere attratti e di appartenere, quello di Dio.


La volontà – anch’essa vissuta in modo attivo e non passivo, sia al singolare, sia al plurale – deve essere quella dell’amore, cioè della nostra risposta generosa alla forza attrattiva e liberalizzante dello stesso amore di Dio per l’umanità. 
Per chi crede alle parole del Vangelo il mondo di Dio è il mondo da cui si proviene tutti; il suo mondo è il mondo a cui desideriamo fare ritorno in molti, partendo dal profondo di noi stessi, respiro dopo respiro, lacrima dopo lacrima, sorriso dopo sorriso…

E tutto quello che abita la nostra vita, bene e male, tutto cerca la via del ritorno al pensiero e all’atto di amore primitivo e originario di Dio. Questo innato anelito all’infinito non è solo questione di chi ha abbracciato la scelta della fede in Dio. Anche chi è ancora lontano dalla fede, anche chi dubita o nega volutamente l’esistenza di un Assoluto divino, addirittura, anche chi vive un percorso di fede diverso da quello proposto da Gesù di Nazareth, la sapienza della Chiesa ci ricorda e ci insegna che ogni uomo e ogni donna, in quanto persona e con le colorazioni del proprio essere umano, nell’atto di cercare la sua identità profonda di essere vivente, scopre e ammette che il suo esistere proviene da una realtà più grande della sua persona, riconosce un misterioso e profondo anelito all’oltre del suo esistere, tende fin dall’intimo della sua identità di figlio e di figlia della medesima umanità ad entrare nell’Infinito di Dio, non come turista, bensì come cittadino a pieno diritto della felicità.

don sergio carettoni