don sergio carettoniblog curato personalmente dall'autore
Prima che fuori un addio inizia dentro

Prima che fuori un addio inizia dentro

Quando è difficile innescare nella propria vita la retromarcia e recuperare a proprio tornaconto metri e metri di passi compiuti in una direzione sbagliata, si rischia di diventare aggressivi, arroganti con se stessi, prima di tutto con se stessi e poi con gli altri, perché ci si sente oramai incapaci di riconoscere i propri errori.

Chiedere perdono al proprio io è un atto di inaudito coraggio e di fiducia in se stessi, quella decisione unica e definitiva, che aiuta chiunque a smettere di essere troppo fragile per perdonarsi, scioccamente iper protettivo del museo della propria vita.

Alla sbarra degli imputati, sotto accusa per quanto abbiamo fatto e detto, spesso giungiamo da soli, tradotti da noi stessi, prima ancora che siano gli altri a farlo nei loro panni di accusatori e nostri carcerieri. La coscienza ha quella forza dentro di sé di convocare e allestire il tribunale di una vita, la nostra anzitutto, convocando a tempo opportuno giudice, avvocati della difesa e quelli agguerriti dell’accusa, carcerieri e l’immancabile folla di chi ci conosce e sta li a guardare che ne sarà di noi. Tuttavia, la coscienza non agisce nel bel mezzo di una piazza, bensì dentro, a irraggiungibili profondità, là dove nessuno vede, sente e si accorge di nulla, perché a nessuno è consentito mettere piede nel luogo della sacralità di una persona.

Più che fuori, molto della storia di una persona si gioca dentro se stessa, là dove si cambiano gli occhi di giudizio, i pensieri sono quelli della onestà, le orecchie ascoltano nel profondo il dialogo della verità di se stessi.

Dentro una storia personale, dentro un viaggio, dentro un’esperienza, dentro un rapporto e un’amicizia, dentro una storia d’amore non c’è solo lo squillo di un inizio, sereno foriero di mille aspettative e di buoni risultati; purtroppo, non superando l’esame della propria autogestione esistenziale, il pericolo dei pericoli diventa quello di iniziare a perdersi dentro, interiormente, pronunciare a se stessi parole che risultano essere un’eco interiore di addii, uno addio dopo l’altro: addio alla bellezza della propria storia personale; addio alla positività di una meta e di un viaggio da compiere soprattutto dentro se stessi; addio al valore e al tesoro delle esperienze; addio alla necessità di nutrire se stessi grazie alla gustosità di qualsiasi genere di rapporti interpersonali e alla preziosità insostituibile di una rete di amicizie; addio al respiro caldo dell’amore verso se stessi e verso gli altri… Un succedersi di addii che, prima di arrivare alle altre persone, già sono giunti alla porta interiore delle proprie labbra, alla maniglia degli scuroni degli occhi, al davanzale delle proprie orecchie; un corri corri di addii che scorrazzano in ogni direzione, creando smarrimento, stordimento, confusione e il problema dei problemi, quando siamo noi, dentro noi stessi, a perdere la strada di casa.

Certo, prima che fuori un addio inizia dentro, ma dentro può iniziare anche un viaggio di ritorno a casa, accettando umilmente di chinarci di tanto in tanto a raccogliere lungo la strada quei piccoli sassolini che abbiamo seminato all’andata, tracciando la direzione da cui siamo venuti, e ora la direzione dove possiamo ritornare davvero. Solo agli intelligenti è dato di capire che la vita è a doppio senso di marcia, ma più di tutto, che il viaggio più bello è quello del ritrovare se stessi, alla porta della propria vita, là dove c’è l’immancabile zerbino con scritto “benvenuto”.

Non c’è addio, allora, per chi alla fine del viaggio si ritrova e si sente a casa!

don sergio carettoni