È un bel guaio per molti, una cosa complicata quasi per tutti, un qualcosa di totalmente unico per alcuni: di fronte a Dio si arriva con la vita, la propria, e molto prima dell’ultimo giorno che ci è stato riservato sul nostro calendario personale. Davanti a Dio iniziamo ad essere presenti con un volto e con un nome fin dal primo momento del nostro esistere. Ogni istante, mentre si è in cammino dentro questa esperienza chiamata vita, non siamo estranei al mistero dell’Assoluto; anzi, Dio è dentro il corso della nostra storia umana, presente nelle pieghe della nostra avventura personale. E tutto ha inizio da questo incontro primordiale, nella reciprocità nostra per lui e la sua per noi; e tutto da qui parte e tutto da questo incontro continua a srotolarsi nel tempo e nello spazio dell’esistenza di ogni uomo e di ogni donna.
Seguire Dio non ha nulla a che vedere con il seguire il volo di un’idea o l’eco della voce della propria coscienza, oppure lo sforzo di mettersi sulle orme di un’emozione e di un’illusione rassicurante. Dio non lo si può seguire neppure come siamo soliti seguire una persona, magari andando per lui anche oltre la dimensione della propria corporeità.
Anzitutto nella vita si è disposti a seguire davvero solo chi già si conosce, chi prima si è imparato ad accogliere nella propria interiorità, senza più paura del totalmente altro e superando il naturale istinto all’autodifesa. Senza mettere in gioco il proprio atto di fiducia diventa quanto mai difficile che nella Parola di Dio, nei Sacramenti e nella vita della propria Comunità cristiana si prendano le giuste misure per imparare poi a muovere i primi passi dietro il mistero divino che eleva tutti a una dimensione più alta di cielo, rispetto a quella bassa e piatta della propria realtà terrena.
Davvero si può seguire Dio quando Dio ci impegniamo a conoscerlo personalmente, intimamente, passando da un freddo e formale ossequio alla sua persona ad un trasporto affettivo e appassionato, tutto acceso per lui. Nella dimensione più che concreta di una fede allargata ai sensi della nostra storia personale, ecco che Dio lo possiamo vedere nei tanti risvolti della quotidianità; lo possiamo anche ascoltare pur dentro il chiasso del vociare e dello strillare del mondo attorno; di lui sappiamo cogliere il profumo della sua sacra e silenziosa presenza; lo tocchiamo e lo abbracciamo nella pelle dell’umanità che ci cammina fraternamente accanto; infine, lo gustiamo Dio, non solo nel dono della sua corporeità eucaristica, ma nella bellezza e nella saporosità del Creato. In questi luoghi dell’umano, dove percepiamo il tutto che ci circonda mediante i sensi della nostra natura, Dio si lascia guardare, ascoltare, odorare, toccare e gustare in un atto di oblatività, il suo, che va ben più in profondità di tutta l’umiltà che siamo capaci di immaginare e di abbracciare da soli.
È dentro le personalissime e le intimissime dimensioni della nostra vita che Dio chiede di essere seguito, poiché egli è il primo a non portare fuori nessuno da se stesso, allo sbaraglio e in stato di fuga dalla sua originalità esistenziale; semmai chiedendo ad ogni uomo e ad ogni donna di tuffarsi insieme a lui dentro loro stessi, nella profondità del mistero che è già dentro ciascuna persona in tutta la sua bellezza e in tutta la sua vastità infinita.
Quale strada imboccare per metterci uno dopo l’altro sulle orme di Dio se non proprio la via della nostra interiorità? Una volta raggiunto ed allineato il nostro passo al suo incedere divino verso la centralità del nostro esistere umano, ne va da sé che iniziamo a capire come sia importante che la mano da prendere a compagnia sia solo la sua e non quella di qualcun altro. La fede in Dio passa così dalla operosità della vita alla scelta della via contemplativa, pur rimanendo connessi con il mondo attorno e con la vera scelta di seguire Dio nella concretezza delle idee, delle scelte e delle azioni di ogni giorno.
Seguire Dio per noi è possibile, solo facendo costante riferimento alla persona del Figlio di Nazareth: la sua umanità, la sua divinità diventano per tutti garanzia di compagnia, questione di avventura umano-divina, poiché mediante Gesù riusciamo esistenzialmente a dare risposta alla sua voce. È l’esperienza illuminante di Levi, che è subito pronto a seguire Gesù nella concretezza dell’atto di lasciare tutto, perché il suo cuore già è in stato di fuga da ciò che non lo fa sentire più umano, più degno delle cose di Dio. L’evangelista Marco così racconta di quel giorno: «Poi Gesù tornò presso la riva del lago. Tutta la folla gli andava dietro ed egli continuava a insegnare. Passando, vide un certo Levi, figlio di Alfeo, che stava seduto dietro il banco delle tasse. Gesù gli disse: “Vieni con me”. Quello si alzò e cominciò a seguirlo» (Mc 2,13-14).
Quanto è vero che seguire Dio alla fine altro non è che il risultato di un autentico atto di umiltà, come quello di Levi, compiuto, prima che in modo visibile a tutti, già segretamente nel proprio cuore e nella propria mente. Seguire diventa anche un atto di fiducia grande e totale di ciascuno di fronte alla sapienza di Dio, colui che conosce la strada della vera realizzazione di ogni singola persona, il solo, Dio, capace di contenere in sé l’intera parabola di vita di ogni esistenza e di ogni storia personale.
Accettando che sia Dio a conoscere la meta da raggiungere, la direzione da seguire e la strada da percorrere, ecco che durante il viaggio ciascuna persona scopre la presenza accanto e il valore inestimabile di tanti fratelli e di tante sorelle di fede, a loro volta incamminati lungo la via della sequela di Dio. Da un viaggio affrontato in solitudine, si scopre un secondo modo di seguire Dio, all’interno di una storia di compagnia, di fraternità, di comunità di fede. E la gioia di ciascun viandante sta nei numeri dei passi compiti con tutto il cuore dietro il proprio Signore.