Quale Chiesa è possibile per il futuro se non quella della tenerezza? Quale Chiesa ha diritto di esistere in mezzo a noi se non quella di Gesù? La Chiesa in cui gli occhi delle persone s’incrociano tra loro, dopo avere a loro volta nella preghiera incrociato prima gli occhi di Gesù? La tenerezza posta al centro delle nostre relazioni è solo quella di Gesù, che muove tutti, affinché tutti siano tra loro una cosa sola in lui.
E la tenerezza di cui racconto stasera, qui a Taizè, si tocca con mano.
Dopo la preghiera della sera, da più di mezz’ora, seduti a terra davanti a me, due ragazzi sono abbracciati tra loro: il capo appoggiato sulla spalla l’uno dell’altra. Di tanto in tanto le loro teste si sollevano e linee argentate di lacrime sui volti impreziosiscono ancora di più la loro giovane bellezza.
A poca distanza, altri ragazzi in ginocchio pregano, intensamente, accompagnati dal succedersi ormai spontaneo delle melodie e dei canti in diverse lingue.
Altri due giovani, a religiosa distanza, inginocchiati, stretti per mano, tengono fissi i loro occhi su l’icona dell’amicizia, posta al centro della chiesa, là dove convergono a lungo e si incrociano di sfuggita tra loro gli sguardi di tutti.
A un passo dietro di me, un giovane da più di un’ora è inginocchiato con il volto a terra, le mani sopra la testa, legate da una corona del rosario che resta immobile. Di fianco, una ragazza appoggiata a una colonna, seduta con la testa tra le mani e la Bibbia a terra, di tanto in tanto vi si tuffa dentro, per poi riprendere fiato nella sua silenziosa preghiera.
Un altro giovane scrive qualcosa nel suo quaderno, sicuramente appunti di un viaggio interiore che solo Dio già legge in anticipo nel suo cuore e, che di tratto in tratto, tra le dita della sua mano. Un altro ha gli occhi chiusi e il volto rivolto in alto, come assorto in un pensiero di sollievo, in atteggiamento di attesa di un vento caldo, di un raggio di luce in questa notte di silenzio e di pace.
E via via ognuno ha il suo modo di entrare e di restare a lungo dentro questo spazio e questo tempo di preghiera del cuore. Ciascuno ha la possibilità di essere se stesso, con l’anima e con il proprio corpo, parlando come gli riesce meglio la lingua della tenerezza e della piena confidenza con Gesù.
Per tutti, al centro della chiesa un lume posto davanti ad una antica icona del sesto secolo, proveniente da una primitiva comunità cristiana dell’antico Egitto. Su di essa vi è dipinto a colori tenuti Gesù, l’amico in cammino, che accompagna con una mano sulla spalla un suo discepolo lungo la via della vita. Per tutti questa è l’icona dell’amicizia. Ma quale amicizia non conosce la tenerezza di Gesù, la tenerezza di un compagno di strada?
Nel preciso istante in cui sto pensando che oramai la preghiera spontanea di tutti sta per volgere al termine e tra poco, uno dopo l’altro, svuoteranno la chiesa, ecco giungere una nuova ondata di ragazzi: 300, 500, forse anche di più; poi… in pochi minuti la chiesa si riempie ancora. È un quarto dopo mezzanotte e un mondo di ragazzi qui è pronto a vegliare in preghiera questa notte. Del resto questa sera a Taizé siamo in più di cinquemila, ciascuno alla ricerca della tenerezza di Gesù.