don sergio carettoniblog curato personalmente dall'autore
Servire le persone nella oblatività di se stessi

Servire le persone nella oblatività di se stessi

Se nella vita delle persone nulla accade per caso, se nessuna esperienza umana capita senza un suo preciso significato e valore, tutto da cercare, tutto da scoprire, c’è da chiedersi quali verbi siano da scegliere e da usare all’interno del proprio mondo di relazioni interpersonali. La risposta più semplice è di dire un po’ tutti, con maggiore o minore intensità di un verbo rispetto all’altro; ma più di tutti i possibili ed immaginabili verbi di sostegno il verbo più qualificante è quello del servire.
Servire le persone è porsi di fronte ad esse con un scelto e voluto atteggiamento di oblatività, che meglio si traduce nella capacità di vivere una relazione di aiuto e di gratuità verso l’altra persona, per il bene integrale dell’altra persona. L’incontro a pelle con il vissuto dell’altro, la verità di una relazione autenticamente umana, ci porta a passare volutamente da un modo distratto, e talvolta superficiale, di vivere la propria avventura personale a incontri e a frequentazioni interpersonali che lascino un segno di positività e di creatività nella vita propria e altrui.

Soprattutto alla luce dell’esperienza di Gesù, servire le persone avviene anzitutto nella capacità e nell’arte dell’accogliere e dell’ascoltare il respiro della loro esperienza di vita, senza per questo essere obbligati a condividere appieno, per forza o per buonismo, le scelte di vita compiute da ciascuno. Ascoltare e accogliere gli altri, anche se parrebbe un controsenso, richiede una buona dose di libertà interiore da esse e la delicatissima e necessaria capacità di vivere in equilibrio a distanza e a vicinanza di sicurezza. Se così non fosse, se ci fosse solo confusione di ruoli e pasticcio relazionale, l’accoglienza e l’ascolto messo in gioco non sarebbe un’opportunità di crescita e di maturazione dell’altra persona, ma di un nostro condizionamento al suo vissuto in corso.

Servire le persone a livello più di cielo che di terra significa imparare a vivere per esse la preghiera di intercessione, cioè il nostro entrare in gioco, stare in mezzo, alla loro personalissima e delicatissima esperienza di relazione con Dio. Non si prega per gli altri, restandosene tranquillamente fuori dalla loro vita, a distanza di sicurezza dai loro problemi. Intercedere per una persona, pregare per una persona, equivale ad avere il coraggio di assumersi non il problema, ma il peso e la fatica dei suoi problemi, presentando a Dio il tutto della sua storia e invocando da lui la manifestazione del suo amore di Padre. Quante notti Gesù le ha trascorse fino all’alba di un nuovo giorno intercedendo per i suoi, chiedendo che nella loro vita e nella loro iniziale esperienza di discepoli si manifestasse il regno, cioè, l’amore di Dio; ma non per questo ha tolto loro la responsabilità e la fatica della coerenza, cioè della riconferma quotidiana di scegliere consapevolmente se restare con lui oppure se andarsene via.

Servire le persone è questione di Vangelo, vissuto all’interno delle relazioni in corso, per evangelizzare non solo se stessi ma anche le domande e le richieste di aiuto che si ricevono ogni giorno, perché in tutti si cerchi di superare qualsiasi tipo di capriccio e di mancanza di senso. Ecco perché, senza paura di percorrere strade diverse, talvolta apparentemente in direzione completamente opposta a quella percorsa dalla Chiesa intera, cioè le strade scelte e trafficate dagli uomini e dalle donne di questo tempo storico e culturale, servire le persone costituisce l’unica possibilità che abbiamo per essere noi la premessa di costruzione di un rinnovato spirito e modo di vivere e di fare Comunità cristiana, tutti in oblativo atteggiamento di obbedienza al Vangelo e alle sue esigenze, alla fine in gioioso stato di obbedienza permanente all’azione innovativa e santificante dello Spirito santo.

Lo aveva capito benissimo l’evangelista Matteo quando, annotandolo poi nel suo Evangelo, si ricordò in prima persona quello che ai suoi discepoli un giorno «Gesù disse: “In verità, vi dico: tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me!”» (Mt 25,40). Un’affermazione importante questa di Gesù, che non ci insegna solo ad andare oltre le apparenze e a servire lui nascosto nelle pieghe della vita di tante altre persone, ma a capire che nel verbo servire c’è in gioco qualcosa di molto rivoluzionario per la nostra vita di cristiani. Infatti, abbiamo imparato da Gesù a non servire soltanto chi amiamo – riducendoci a fare per tutte le altre persone solo quel qualcosa che l’operosità della mente e delle mani è già capace di fare, rischiando al tempo stesso di faticare per tutti senza il sorriso e il calore del cuore.

Nel verbo servire è specificata la nostra identità e qualità di discepoli del Risorto, uomini e donne che nell’atto oblativo del servire le persone annunciano loro le novità del Regno dei cieli, creando così uno spazio di Dio proprio nella vita di chi si sta servendo. Strumento d’amore nelle mani di Dio, i cristiani non esitano di servire tutti per facilitare in tutti la gioia della fede, intercedendo e creando l’incontro di ogni persona con la prossimità e l’amore stesso di Dio.

don sergio carettoni