Servire o servirsi della Comunità cristiana? Vista sia dall’interno sia dall’esterno la differenza è abissale! La cosa non passa inosservata, non solo a chi la Chiesa la frequenta in diversi modi, ma neppure agli occhi di chi non è molto addentro alle cose di Chiesa. Guardando a distanza la vita di una Comunità parrocchiale, c’è chi è subito pronto a misurare lo stato di coerenza dei suoi fedeli, in modo ancora più esigente la credibilità dei pastori e di tante altrettante guide di Chiesa. In questa capacità di spaccare il capello in quattro, i non credenti sono impeccabili nel loro sentire, percepire, scrutare, soppesare l’anima dei credenti.
Più di ogni altra fragilità umana presente nelle persone di Chiesa, ciò che dà fastidio a tutti è l’atteggiamento di alcuni fedeli che vivono la loro esperienza di Chiesa, in concreto di Parrocchia, nell’inconscia e permanente illusione di ritenersi sempre nel giusto, i migliori tra tutti. Questa soggettiva, caparbia, inopportuna certezza di non sbagliare mai, o poco, diventa la tentazione di tutti, e molti iniziano a misurare la fede e la vita spirituale degli altri alla luce del proprio metro di misura. Credere di essere dei fedeli impeccabili nella vita della propria Comunità parrocchiale, degli operatori pastorali unici, super, indispensabili, chiavi portanti di chissà quale volta di Vangelo, è qualcosa di pericoloso e di anti-evangelico.
Ai suoi discepoli, quelli di un tempo così come quelli di tutti i tempi, Gesù insegna che chi realmente vive ed opera all’interno della sua Chiesa è solo ed unicamente lo Spirito di Dio; chi smuove l’impossibile e apre nuove strade nel deserto dell’umanità è sempre lo stesso Spirito; chi, infine, suscita carismi nei singoli cristiani, i cosiddetti talenti personali, la generosità, la solidarietà, l’oblatività affettiva tra le persone della medesima Comunità parrocchiale è e resta ad ogni istante lo Spirito santo. Ma perché ciò sia possibile – avere cioè la capacità di riconoscere il primato di Dio nella propria Comunità d’appartenenza –, è indispensabile giungere e passare attraverso l’esperienza della passione, della morte e della risurrezione dell’Uomo di Nazareth, di Gesù, il Cristo, per poi nascere e crescere a giusta misura come la Comunità dei figli della Luce!
Ogni servizio nella Chiesa, in particolare nella e per la propria Comunità parrocchiale, nasce dall’accoglienza nella propria vita della forza e della luce della risurrezione di Gesù, doni e potenze queste di eternità, che costruiscono incrollabili esperienze di Vangelo e di anticipato regno di Dio già su questa terra.
Nella Chiesa, dunque, servire equivale a vivere a piccole dosi il martirio della comunione, così come Gesù lo ha vissuto all’interno della sua esperienza religiosa di figlio d’Israele, fino a decidersi in prima persona di traghettare gioiosamente i suoi seguaci oltre ogni limite imposto dal compromesso umano, sempre verso la casa di Dio, grazie a lui riconosciuto nel volto del Padre.
Servire nella Chiesa equivale anzitutto, e più di ogni altra cosa, a servire la Chiesa: è questione di fedeltà alla propria identità di discepoli del Signore risorto, superando la tentazione umana di cercare e di fare il proprio interesse personale in cose e realtà che sono unicamente proprietà di Dio. È questo che l’evangelista Matteo ha fissato nella sua mente e nel suo cuore e, poi, riportato nel racconto del suo Vangelo, quando in lui le parole della parabola di Gesù non hanno mai smesso di risuonare: «E il padrone gli disse: “Bene, sei un servo bravo e fedele! Sei stato fedele in cose da poco, ti affiderò cose più importanti. Vieni a partecipare alla gioia del tuo signore!”» (Mt 25,23).
In definitiva, per servire bene Dio e gli altri, con fedeltà e lealtà, non occorre fare l’elenco di chissà quante cose ci attendono. Per essere un dono dentro la Chiesa e davanti agli occhi del mondo, i cristiani devono impegnarsi a crescere come autentici testimoni di servizio e di oblatività. Uniti fra loro nella modalità della Chiesa, ai discepoli di Gesù è chiesto espressamente di fare memoria con la propria operosità dell’amore che è stato riversato nei loro cuori. Inviati nel mondo, con il coraggio dei figli e delle figlie di Dio e con la missione in cuore di mettersi generosamente a servizio dell’avventura umana, i cristiani evangelizzano il mondo con l’amore operoso della propria fede e, parimenti, evangelizzano se stessi e la Chiesa intera con la gioia di ritrovare la piega del sorriso sul volto di nuovi fratelli e di nuove sorelle di Vangelo.