don sergio carettoniblog curato personalmente dall'autore
Si parte da un’idea e ci si ritrova nella Chiesa

Si parte da un’idea e ci si ritrova nella Chiesa

Più che un’idea, si tratta di una convinzione, profonda, caparbia, a volte decisamente controcorrente, quella della necessità di rimettere al centro del nostro modo di accostarci, frequentare e abitare la Chiesa, la persona Gesù.

A queste parole molti potrebbero arricciare il naso, smorfiare la bocca, alcuni scoppiare anche in una risata, comunque, dimostrare perfino verbalmente il fastidio provato di fronte a questa spavalda affermazione, come a dire: “Che scoperta del fico! Si sa che in Parrocchia si parla solo di Gesù!”. Mhm!?!? Siamo sicuri che sia proprio così?

Riconoscendo di fatto che ciascuno è pur sempre libero di esprimere il proprio pensiero, ammettiamolo una buona volta, che di Gesù ci siamo fatti – e ci facciamo tutt’oggi – interpreti esclusivi; di lui ci sentiamo gestori in entrata e in uscita; ancor di più, di lui ci sentiamo un po’ “padroni” e quante cose, quante situazioni, quanti stili di vita del nostro modo di essere oggi la Comunità dei suoi discepoli non hanno poi molto a che vedere con la purezza del Vangelo, con l’originaria esperienza proposta dal Nazzareno.

Per quanto siamo un po’ tutti affaccendati nel ritrovare il bandolo della matassa, nel nostro modo di fare Chiesa ci siamo appesantiti di sovrastrutture; portiamo il peso di precedenti vissuti ecclesiali, che a fatica abbiamo il coraggio di seppellire nei cimiteri della Storia; ci siamo addirittura impantanati nella palude delle consuetudini, dei “si è sempre fatto così”, dei farisaici “non è opportuno dire e fare questo”… e così, via via, ci siamo allontanati ancora di più dalla frequentazione a pelle del Vangelo. Che fare, allora? Nulla, nulla di eclatante, molto invece coi piedi per terra!


Senza giudicare oltre le nostre fragilità, il nostro ritrovarci come Chiesa in stato di minoranza di consensi, ci spinge a riconoscere piuttosto che ogni giorno tutti corriamo il rischio, e molti di noi purtroppo già ci sono rimasti sotto, di rendere il messaggio dell’Evangelo pesante, scostante, difficile da comprendere e da vivere. A livello socio-culturale il nostro impegno urgente di intercettare i molteplici linguaggi usati dalla generazione in corso e, senza paura, riformulare il nostro linguaggio, non certo i contenuti immutabili della fede in Gesù, è questione di fedeltà alla rivelazione di Dio! Dio si rivela facendosi capire, noi rischiamo di parlare di Dio e di spiegarlo agli altri rendendo incomprensibile il suo messaggio, addirittura irriconoscibile il suo volto di Padre.

Dai, ammettiamolo che il messaggio proposto dal Vangelo non è difficile nel suo linguaggio, nel suo contenuto, anzi è proprio affascinante! Semmai è il nostro modo obsoleto di presentarlo e di spiegarlo che lo rende a molti problematico nell’accostamento e nella sua comprensione. Quando noi ci rivestiamo di un linguaggio arduo, nelle parole e nei contenuti, per alcuni ritenuto addirittura astruso, quanto mai infantile per altri, non facilitiamo certo il nostro essere collaboratori all’opera salvifica di Gesù. Purtroppo, così facendo, ci rendiamo noi stessi responsabili di porte, quelle di Dio, rimaste chiuse e di chiavi, quelle che aprono alla salvezza sacramentale, inutilizzate da molti.


Bando ad ogni sforzo apologetico, cioè a una difesa ad oltranza della fede, utile solo quando esiste un serio e serrato confronto-scontro su posizioni religiose diverse, oggi abbiamo a che fare con persone che giocano la loro vita oltre il limite del Cristianesimo, in una dimensione esistenziale che non tiene conto del dato religioso innato in esse, proprio perché non conosciuto o rifiutato in conseguenza di preconcette e ideologiche posizioni.


L’atteggiamento corretto, ciò su cui la singola Comunità parrocchiale si deve giocare la faccia, è quello dell’annuncio evangelico di Gesù, ricamato sul tessuto di equilibrate relazioni interpersonali, iniziando con quelli di casa, con le persone a noi vicine, nei luoghi di frequentazione quotidiana, là dove è più difficile essere quello che si desidera essere, discepoli di Gesù. Tutto si gioca nel coraggio di credere con tutto se stessi nella forza del Vangelo e dello Spirito, inventandosi creativamente un annuncio di salvezza portato avanti in silenzio, con fatti evangelici, con una speranza in cuore tutta da spiegare al momento opportuno. Con il rispetto dovuto per la loro parabola oggi in forte discesa delle parate di un tempo, a mo’ di esercito della salvezza, non hanno più senso e diritto di azione nella Chiesa. Il nuovo nella Chiesa avanza semmai secondo la logica del piccolo seme, senza clamore, senza applausi da regalare in modo precettato all’ultimo relatore, smettendo di credere al rosario di eventi che, ingarbugliati tra loro, non creano altro che allucinogeni illusioni di scelte di fede.


Nel piccolo seme, contenuto nel Vangelo e alimentato dallo Spirito, la logica è decisamente diversa: tutto si gioca nella frequentazione a pelle della fiducia di Dio in noi e della nostra fiducia nelle potenzialità degli altri, prima di tutto dei peccatori, del loro desiderio e della loro forza di riscatto dal male.

Ecco perché, come Chiesa, come piccole comunità parrocchiali, non si insegna nulla a nessuno, ci mancherebbe altro, ma al tempo stesso non ci si lascia imbambolare dagli allucinati del momento. Semmai in molti è forte il desiderio di prendersi la santa ed evangelica libertà di sperimentare, a mo’ di pionieri, nuovi accenni di sentiero dentro l’umano, senza pregiudiziale alcuna, senza preconcette paure di chissà quali manifestazioni del male presente nell’umano. Del resto Gesù stesso un giorno affermò: «L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Lc 6,45).

Senza attardarci oltre, in prolungati discorsi, il viaggio della Chiesa parte proprio da qui, dalla pelle della vita delle persone, cercando dentro il loro vissuto il seme del Bene, gustando, cioè, la gioia di inoltrarsi dentro di esse nell’incanto di mondi interiori in cui il bene del cuore e della mente è già presente. Tutto nelle persone attende solo di essere messo in connessione con il Bene creativo e redentivo di Dio.


E la “magia del Vangelo” è fatta: una moltitudine di persone che si avvia alla sequela di Gesù, porta dell’amore del Padre, condividendo le chiavi della gioia, della fraternità e della serenità, per non sentirsi più soli nel mondo, nella Chiesa e nella propria vita.

don sergio carettoni