Tra i cinque verbi che abbiamo scelto di usare come chiave per aprire le cinque porte che ci permettono di conoscere gradualmente la Chiesa, in modo particolare la propria Comunità di fede, quello del seguire è decisamente il verbo più difficile. Qui non viene più chiesto di ascoltare e di conoscere Dio, le persone e la Chiesa; qui viene esplicitamente chiesto di entrare in contatto con la vita concreta della Chiesa, mettendosi in gioco in prima persona nella concretezza del proprio vissuto. È un incontro a due, quello della propria persona e quello della singola Comunità tutta, arrivando a farsì che l’una entri in contatto con l’altra, nella possibilità di ritrovarsi dentro una rete di relazioni fatta di se stessi e di tante altre persone, il più delle volte non scelte secondo i criteri personali di gradimento, ma incontrate secondo criteri di dono dell’uno all’altro.
Nel concreto, con il verbo seguire si tratta di fare un balzo in avanti, smettendo di avere a che fare con l’idea e con la rivelazione di Dio in mondo del tutto arbitrario, oppure alimentare una relazione interpersonale formata solo da una storia a due, se stessi con la propria guida spirituale, il mentore della propria vita, senza per questo avere bisogno di tessere una relazione vitale con gli altri membri della medesima Chiesa.
Con il verbo seguire ci si trova di fronte a un tutto di divino e di umano: Dio e gli altri, la pluralità di tutti e la singolarità di se stessi, le possibilità intrecciate di molte storie personali e la scelta del proprio individualismo. Al contrario, in una dimensione molto più allargata rispetto alle misure ridotte del proprio mondo, uscendo dalla ristrettezza delle proprie esperienze personali e spirituali, gradualmente si impara a declinare la parola comunità in tutti gli aspetti della propria avventura umana.
La Comunità di fede diventa, anzitutto, soggetto in tanti passaggi del viaggio da Dio verso l’umano e dell’umano verso lui. Diventa la Comunità anche luogo di specificazione di tutto ciò che esiste nella mente di Dio e dei fratelli e della sorelle di fede. Una realtà verso la quale orientare costantemente il proprio pensiero, i moti del proprio cuore, poiché a questa Comunità ci si sente legati grazie al dono del Battesimo e via via degli altri sacramenti, quelli che formano la comunione ecclesiale, matrimonio e ordine, la guarigione dei singoli credenti e della Chiesta intera, riconciliazione e unzione degli infermi, lo stile e il senso di evangelica appartenenza, confermazione ed eucaristia.
Una preoccupazione via via crescente è quella affinché la Chiesa rifiuti e fugga lontano da qualsiasi forma ed esperienza di comunitarismo, cioè da qualsiasi forma tossica di efficientismo fine a se stesso, giusto per inseguire, fare proprie e cavalcare dentro la singola Comunità cristiana le logiche mondane. Comunitarismo è l’illusione di lavorare alacremente per l’edificazione di quella forma di Chiesa che, rispetto a quella delle origini, è da ritenersi la più adatta, la meglio rispondente al presente momento storico. Tuttavia, là dove non c’è il Vangelo, là dove le tante situazioni ecclesiali non sono più rischiarate dalla luce di Dio e comprese facendo riferimento a discernimento della sapienza divina, là dove la forza dell’operosità non è quella della volontà dello Spirito santo ma del mondo, incredibilmente il comunitarismo diventa lo spazio ecclesiale dentro il quale attecchiscono e crescono nel tempo le più meschine scelte di opportunismo e di tornaconto personale dei singoli sugli altri. Fuggire dentro la Chiesa da questa tentazione di rifiuto in essa della signoria indiscussa di Dio è possibile nella misura in cui viene ricollocata al centro della vita comunitaria e ad ogni suo livello di interazione la persona e la parola del Signore risorto. Affinché il valore ispiratore di ogni pensiero, di ogni azione e di ogni singolo affetto presente tra i fedeli ritorni ad essere quello di Gesù, non vi è altra alternativa che superare l’errata scelta dello stile e del valore illusorio della democrazia intra-ecclesiale, a scapito invece del valore irrinunciabile della guida della Comunità secondo il volere stesso e partecipato di Dio. Per questo, nella Chiesa secondo il pensiero e il cuore di Dio non potrà mai mancare l’ascolto e la difesa di ogni voce evangelicamente profetica, che di tanto in tanto risveglia la coscienza di tutti e richiama e orienta ciascuno al primato della cose di Dio.
All’inizio del Libro degli Atti degli Apostoli l’evangelista Luca non manca di annotare quelli che potremmo riconoscere i tratti costitutivi della prima Comunità cristiana in Gerusalemme, così come in seguito di tutte le future Chiese del Risorto. Raccontando i primi passi della nascente Chiesa di Gerusalemme, Luca scrive che i primi cristiani «ascoltavano con assiduità l’insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme. Dio faceva molti miracoli e prodigi per mezzo degli apostoli: per questo ognuno era preso da timore. Tutti i credenti vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che possedevano. Vendevano le loro proprietà e i loro beni e distribuivano i soldi fra tutti, secondo le necessità di ciascuno. Ogni giorno, tutti insieme, frequentavano il Tempio. Spezzavano il pane nelle loro case e mangiavano con gioia e semplicità di cuore. Lodavano Dio ed erano ben visti da tutta la gente. Di giorno in giorno il Signore aggiungeva alla comunità quelli che egli salvava» (At 2,42-48).
Il valore e lo stile della formazione dei singoli cristiani alla scelta della loro presenza e del loro impegno operativo fuori e all’interno della Chiesa è più che innegabile; anzi, il cammino dei singoli credenti, condiviso dentro la medesima esperienza e storia di Comunità, diventa più che un cammino una vera ed autentica esperienza di compagnia, di fraternità, di Chiesa appunto.
In seguito alla ricollocazione della sola persona di Gesù al centro della vita della Chiesa, si capisce come in essa non abbiano alcun senso di esistere la presenza e l’opera di persone che ci stanno sì nella vita della Comunità di appartenenza ma solo per raggiungere i propri scopi, spesso di livello molto basso: immagine, successo, potere, guadagno non solo in prestigio ma anche in termini economici. Pur dentro un tessuto sacro di relazioni spirituali e fraterne, quale è quello della Chiesa, non mancano occasioni di incontrare alcuni cristiani che, essendo anzitutto legati ai loro interessi personali, giungono perfino a sciupare malamente la fiducia avuta in dono dall’intera Comunità.
In riferimento poi alla figura e al ruolo delle preposte guida della Comunità, se da una parte ci sono persone felici di condividere la loro fede dentro momenti ed esperienze impreziosite a loro volta dalla presenza e dalla Grazia dello Spirito santo, viceversa ci sono persone che, in men che non si dica, arrivano persino a voltare le spalle a tutti, così come ai fratelli e alle sorelle di fede. Pur incamminati dentro un viaggio dai sapori e dai colori spiccatamente evangelici, le stesse persone diventano capaci di tutto, dal pettegolezzo alla maldicenza, dal non sapersi più controllare sul valore delle parole dette e sulle conseguenze dei gesti compiuti, fino ad arrivare a rendere operative scelte di presuntuosa autosufficienza, di rifiuto di qualsivoglia tentativo di riconciliazione. Eppure sono persone che affermano di essere permanentemente alla ricerca di Dio; invece, affaticate, angosciate, incostanti, stanno solo cercando se stesse e sicuramente qualcosa di meno esigente rispetto all’invito da parte di tutta la Comunità a superare con coraggio i propri limiti personali e di relazione.
Più che una guida da parte dell’intera Comunità, ci sono cristiani che cercano nella Comunità solo consensi, lodi ed apprezzamenti, passando di storia in storia, di esperienza in esperienza, crescendo alla fine in minima parte rispetto a quello che avrebbero potuto fare se solo fossero stati meno incostanti, meno ballerini, meno inconcludenti.
Senza la pazienza dell’amore per la propria Comunità, senza l’umiltà di starci dentro anche quando le cose non vanno più come vorremmo che andassero, chi non pone Gesù al centro delle sue relazioni non fa altro che fuggire da tutto e da tutti, fino a ritrovarsi alla fin fine un vuoto dentro e davanti a sé, perché la libertà di una Comunità è quella di proseguire il suo viaggio anche nella preziosità dei piccoli numeri, rispettosa comunque della libertà di chi si vuole fermare o di chi desidera prendere altre strade, senza per questo cadere mai come Chiesa nella tentazione di impossessarsi delle persone o di lasciarsi a sua volta possedere dagli altri.
Una Comunità cristiana, la Chiesa intera, la si impara a conoscere e a seguire lungo il sentiero dell’amore, amandola per quello che essa è e lasciandosi amare da essa nella verità di quello che ciascuno è realmente. Solo nella libertà di questa relazione reciproca è possibile l’amore e, questo, vale per se stessi e soprattutto per la Chiesa del Signore Gesù!