commento spirituale a
Mc 2,18-22
18 Un giorno i discepoli di Giovanni il Battezzatore e i farisei stavano facendo digiuno. Alcuni vennero da Gesù e gli domandarono: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei fanno digiuno, i tuoi discepoli invece non lo fanno?». 19 Gesù rispose: «Vi pare possibile che gli invitati a un banchetto di nozze se ne stiano senza mangiare mentre lo sposo è con loro? No. Per tutto il tempo che lo sposo è con loro, non possono digiunare. 20 Verrà più tardi il tempo in cui lo sposo gli sarà portato via, e allora faranno digiuno.
21 Nessuno rattoppa un vestito vecchio con un pezzo di stoffa nuova, altrimenti la stoffa nuova strappa via anche parte del tessuto vecchio e fa un danno peggiore di prima. 22 E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino li fa scoppiare e così si perdono e il vino e gli otri. Invece, per vino nuovo ci vogliono otri nuovi».
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La liturgia della Parola dell’Ottava domenica del Tempo Ordinario [B] gira attorno al tema del rapporto intimo di Dio con la sua creatura e dell’uomo con il suo Creatore.
Nel testo tratto dal libro del profeta Osea [Os 2,16.17b.21-22], ci viene raccontata l’infedeltà del popolo di Israele il quale, sia con folli scelte politiche sia con culti idolatrici agli déi venerati dal popolo cananeo, aveva abbandonato Dio, suo vero re e sua salvezza.
Nel testo ci viene spiegato anche in che modo Dio stesso reagisce di fronte a questa infedeltà del suo popolo. Benché Israele si sia comportato come una prostituta, Dio gli resta fedele e si prodiga affinché il popolo dell’alleanza ritrovi la via della santità. Attira e conduce nel deserto il suo popolo, in una realtà cioè di purificazione, e con parole di riconciliazione intende ricostruire la primitiva esperienza d’amore fatta con lui nel tempo del deserto: una nuova freschezza caratterizza i rapporti tra Dio e il suo popolo, come nel tempo della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto.
Con l’immagine di un contratto di matrimonio, Osea ci racconta l’intenzione di Dio di parlare a Israele dal di dentro, «al suo cuore», in modo diretto e personale. Egli vuole così stipulare con il suo popolo un’alleanza nuova, affinché il nuovo popolo di Dio viva all’insegna del rispetto della giustizia e della fedeltà, e, attraverso il rinnovato culto religioso, ami il suo Dio con tutto il cuore.
Nel brano evangelico di Marco [Mc 2,18-22] ascoltiamo il racconto di un’altra controversia fra Gesù e i farisei circa la questione del digiuno. Con sentimenti di risentimento con il giovane Rabbi essi osservano che la disciplina proposta da Gesù è assai differente da quella voluta dagli altri maestri di spiritualità, come fu per esempio quella predicata da Giovanni il Battista. Al contrario di questi maestri, i quali chiedevano ai loro seguaci di sottoporsi a vari digiuni e ad altri esercizi ascetici, Gesù non chiede nulla di tutto questo ai suoi discepoli.
In risposta alla critica dei farisei, Gesù ricorda loro che gli esercizi ascetici – quali il digiuno, la penitenza… – sono tutti orientati a ravvivare la speranza nel tempo dell’attesa e a preparare gli animi ad accogliere qualcosa o qualcuno che deve venire. Ora, usando proprio l’immagine dello sposo e della sua sposa, Gesù annuncia che il tempo della salvezza è giunto, quello che era atteso si è compiuto; e, pertanto, non c’è alcun motivo perché i suoi discepoli debbano ancora digiunare e fare penitenza. La presenza del Figlio di Dio nel mondo è fonte di gioia e di festa, poiché essa costituisce il segno concreto della vicinanza di Dio al suo popolo, l’inaugurazione di un tempo non più di penitenza ma di riconciliazione. In un mondo schiavo di prescrizioni e di abitudini lontane da Dio, Gesù si presenta come quella novità assoluta che ridà alla vita di ogni giorno un sapore di gioia, una dimensione di verità, la freschezza delle origini.
Insieme a quello dello “sposo” altre due immagini evangeliche, quella del “panno grezzo” e del “vino nuovo” – applicate da Cristo a sé e al regno di Dio da lui inaugurato –, vogliono esprimere l’irruzione nel mondo di una mentalità totalmente nuova, che non si può adattare all’antica, alla precedente, ma la può solo contraddire, mettere in crisi.
Dal canto suo, essendo segno della continua presenza di Cristo nel mondo, la Chiesa non smette di annunciare una grande verità: bisogna fare festa, essere ottimisti, perché Dio è in mezzo a noi e ci dona la salvezza. Il digiuno, il giorno della tristezza, sarà quello dell’assenza del Signore, della lontananza da lui a motivo del peccato commesso. Al contrario, il rapporto con il Signore Gesù è gioia, intimità sponsale, esperienza imprevedibile non riconducibile a formule o regole obsolete. E tuto questo deve essere una scelta personale, attesa e vissuta come dono di Dio. Non deve diventare una pratica, dettata per di più dall’abitudine, dal contesto sociale o religioso in cui si vive, ma da una storia di amore. Del resto, non dimentichiamoci mai che con Dio ci si sposa solo per amore!