RUMINATIO SINODALE – 71
7° tema: “Cristiani ecumenici”
Non vi è alternativa nella vita della Chiesa se non dentro una ritrovata centralità del Cristo, il Risorto, per cammini di uomini e di donne a loro volta personalmente in viaggio lungo sentieri evangelici di fraternità, con nel cuore, nella mente e nella volontà di ciascuno un senso profondo e totale di generatività, di fecondità, di bellezza e di significatività nello Spirito santo.
È nel primario valore dell’unità, grazie al rispetto evangelico delle diversità di ogni persona e di ogni Comunità, e nel secondario valore delle molteplici diversità, protese ciascuna e tutte insieme alla reciproca unità, che Gesù pone, non tanto la metà di un cammino ancora tutto da compiere, bensì il punto di partenza di ogni relazione già in corso, affinché sia vero il viaggio esistenziale di discepolato e di apostolato dei suoi.
Sappiamo bene che l’affermazione “Affinché siano una cosa sola” non è solo la traduzione italiana dell’espressione latina che ritroviamo nel racconto evangelico di Giovanni, quando egli riporta il pensiero volitivo e programmatico di Gesù: i miei discepoli siano una cosa sola come io e te, o Padre, lo siamo sempre fin dal principio; anch’essi siano una sola cosa con noi e la stessa cosa tra loro.
All’interno di ogni singola espressione di Chiesa, dentro le più diverse esperienze quotidiane di Comunità dei discepoli di Gesù – che si tratti di un piccolo gruppo di credenti o di una ben più articolata vita parrocchiale, o di una struttura estesa di Chiesa diocesana e Universale – riecheggiano sempre le medesime parole di Gesù, non solo come memoria del desiderio orante espresso una sera dal giovane Maestro di Nazareth, bensì come un imperativo evangelico, sia a livello personale sia a livello comunitario. È un imperativo ben saldo, costantemente posto di fronte a ciascuno e a tutti: essere uno con gli altri discepoli, essere insieme una unità con il Figlio, nel raggiungimento della meta del Padre, lungo le infinite vie di Vangelo, abitate tutte dallo Spirito santo.
Tra fratelli e sorelle per medesima fede in Gesù, il Risorto, l’unità tra loro non è desiderio, bensì espressione operosa della volontà di Dio. Qualcosa che chiede il coinvolgimento della coscienza di ciascuno, la scelta di crescere giorno per giorno in un legame reciproco di appartenenza – gli uni agli altri e gli altri al singolo –, perché non si è mai Chiesa facendo a meno di qualcuno a noi diverso, ma sempre dentro lo sforzo di accogliere, di abbracciare e di amare la diversità pulsante nella immensità dell’umanità.
Alla luce dei tanti tentativi e cammini sin qui compiuti di riavvicinamento e di riconciliazione tre le singole Confessioni cristiane, si potrebbe o restare bloccati ancora ai bordi delle storiche ferite reciproche, oppure ripartire da esse e tessere fili di sutura per vivere un’esperienza di riabbraccio del valore dell’unità, grazie a un nuovo modo e a uno stile più fraterno di abitare insieme la casa del Vangelo.
Partendo, allora, dal binomio unità e diversità, ci ritroviamo pur sempre di fronte all’imperativo di avviare come singole Chiese processi di unificazione evangelica, anzitutto interna, conseguentemente esterna. Utile diventa una bilancia dove, se sul piatto destro abbiamo a che fare con l’imperativo di essere consapevoli e rispettosi delle differenze e delle reciproche frammentarietà presenti nelle persone e nelle singole Comunità ecclesiali, sul piatto di sinistra siamo spinti a misurarci, a tentare ancora una volta, a crescere insieme di fronte all’altrettanto imperativo evangelico dell’unità.
“Uniti nella diversità, diversi nell’unità” non è un gioco di parole, o un calcolo di equazione relazionale, semmai la possibilità di dare medesimo valore al termine unità e al termine diversità. E qui la sfida del bilanciamento reciproco e misericordioso si fa grande perché, al di là degli equilibrismi di pensiero e di azione di ciascuna Confessione, per il vero discepolo e apostolo di Gesù in gioco c’è solo il raggiungimento e la condivisione dell’unica meta, la paternità di Dio, quella del Dio di Gesù, il Figlio unigenito e unificante, il Cristo Risorto, che ritorna a essere orizzonte e punto di arrivo di ogni singolo percorso e vissuto di fede.
È la condivisione della paternità di Dio punto di arrivo, certo, ma anche memoria pulsante di un punto passato di partenza, che dentro il vissuto dei singoli discepoli del Figlio suo ricorda e narra a tutti come tutti veniamo da lui e a lui molti ritorniamo per la via del Risorto. Uniti alla genesi del tutto, uniti alla conclusione di ogni vissuto personale, grazie al trinomio via, verità e vita di Gesù di Nazareth, che si manifesta sempre più vero dentro i passi di un processo di unificazione della Chiesa intera e che ritorna a essere incarnato dentro il vissuto riconciliante di ciascuno Confessione.
La dynamis divina, cioè la forza potenziante dello Spirito santo ecco non solo creare occasioni di incontro fra le diversità ecclesiali, ma il rinascere in ciascuna di esse della volontà di un nuovo legame con il medesimo Vangelo, nodo di unità nella diversità per quanti vi aderiscono con libertà di cuore, di mente e di volontà. Tutto è possibile, quindi, anche ricomporre saldamente ogni vissuto di passata frattura, tutto nella forza del Cristo Uno.